Certamente sono rimasta stupita di figurare fra i “maledetti toscani”, ma subitamente mi sono riconosciuta fra “coloro” almeno per la quasi inestinguibile ironia che sottolinea e scandisce ogni avvenimento – e ogni opera – della mia vita: dunque non mi sono eccessivamente meravigliata che Lolita Timofeeva venisse a trovarmi allo studio e, con quel sorriso e con quel modo affabile e ingenuo che le è caratteristico, mi chiedesse di fare parte di quei “maledetti” che, per definizione malapartiana, sorridono e, sottilmente sbeffeggiando, prendendo in giro anche la morte. Per affrontare le asperità e le angosce della vita l’umorismo è prezioso compagno e signore, ma c’è anche il rovescio della medaglia: le angosce travolgono talvolta inesorabilmente qualsivoglia ironia e allora ecco che l’uomo esorcizza (o tenta) attraverso le opere, il lavoro, la testimonianza sociale e civile, quell’infinitesimale dubbio che, nonostante tutto, affiora: da dove vengo, chi sono, dove vado.
In effetti mi sono chiesta come Lolita sia giunta alla scelta dei dieci personaggi da ritrarre che, tutto sommato, presentano sia una visibile omogeneità (vedi i tre poeti visivi di cui io faccio parte), sia un’altrettanta concreta diversità dagli altri. Ma forse proprio questo ha permesso alla Timofeeva di variare intelligentemente l’interpretazione dei caratteri, anche adottando un divertente strattagemma attraverso lo spostamento/censura di un braccio di ciascun ritratto che quasi ammicca a un extra da sè, come indicando o poggiando, riposato, in una wunderkammer. Questo straniamento, permette, a mio avviso, il raggiungimento di un contesto particolarmente ironico e suggestivo.
Per rendersi conto, infatti, quanto influente e rilevante sia il deciso piglio realistico, con cui Lolita raffigura i personaggi, sarebbe interessante soffermarsi sul perché la pittrice abbia sottolineato alcune caratteristiche, anche impietose, dei “ritratti” poi prontamente sdrammatizzate nei sensi e nei controsensi. Attuando lo spostamento dei bracci in atmosfera sottilmente diversa {vedi il poeta Luzi che si aggrappa a una striscia/benda di poesia manoscritta), raggiungendo così la lucida interpretazione del carattere ironicodrammatico del “maledetto toscano”.
Forse il “perché” sta nel valore taumaturgico dell’ironia? Forse il “perché” è il sintomo del contagio? Il MALEDETTISMO TOSCANO ha forse contaminato profondamente anche Lolita Timofeeva?