PALAZZO DEI NOTAI, BOLOGNA
Questa galleria di ritratti diventerà famosa. E non certo o non solo per la notorietà o meno delle persone trasferite su tela da Lolita Timofeeva, ma perché questa galleria vuole essere un’ operazione artistica che sconfina con l’arte concettuale: è un’opera unica in più quadri. L’artista ha certamente grande predisposizione verso il genere del ritratto, ma è consapevole che il valore viene dato dall’invenzione di un tema generale. La pittura ha ancora molte strade aperte, anche quelle della tradizione. Per questo la Timofeeva attraverso un gronde lavoro ha inventato una galleria di personaggi rappresentati con gli oggetti che più gli appartengono, con quelle cose che ne caratterizzano la psicologia e la vita.
E’ la stesso mostra che diventa così una grande installazione con quadri oggetti e tanta arte. Il ritratto è uno specifico artistico che la fotografia ha affiancato, non è risuscita a negarlo. La Timofeeva riesce molto bene a penetrare nei volti che dipinge, ci gira intorno, rielabora degli schizzi, scatta fotografie per analizzare dei particolari. Il suo è un lavoro di avvicinamento progressivo al risultato finale, non vi è immediatezza né contemporaneità tra la percezione e la stesura.
E’ chiaro che il ritratto o è psicologico o non è. La mano dell’artista ha percorso le avanguardie storiche, ma il suo sguardo è attuale. La sua ricerca del “punto di vista” diventa esemplare. E’ come un girare attorno alla persona per tirarla fuori dal proprio guscio, renderla libera di essere finalmente rappresentata. Da questo punto di vista la pittura ha più libertà della fotografia (almeno fino all’era del Photoshop) perché non più legato all’imprinting della medialità. Questa libertà presa e non concessa, la si vede in questa serie di quadri in cui la mano dell’artista traccia un racconto per immagini in cui la individualità delle persone ritratte, si perde a favore di un racconto per immagini di un mondo umano che l’artista ha vissuto.
Anche il colore gioca un ruolo fondamentale perché stabilisce il limite tra gli oggetti e le persone, rende drammatica una scena immobile, ma intensa per i molteplici rapporti che si stabiliscono tra chi guarda e chi è guardato. La sensibilità dell’artista si avverte soprattutto nei tagli sempre particolari e mai banali che dà ad ogni opera, negli scorci stranianti e talvolta surreali che ricordano un’ altra produzione dell’artista lettone dedicata a forme e paesaggi più vicine all’avanguardia storica di Breton che a certe deformazioni post cubiste.
Del resto il tono è quello del gioco, dell’ironia e del divertissement. La “Timofeeva Portrait Gallery” è la dimostrazione della vitalità della pittura e di come attraverso di essa si possano ancora produrre degli interessi sempre nuovi. In effetti questo è un piccolo museo realizzato interamente dall’ artista, una serie di sguardi aperti su tutto quello che circonda il fascino dell’arte, di questa straordinaria capacità di creare un universo parallelo a quello reale, ma spesso ancora più vicino alla verità di quest’ultimo . L’aspetto ludico sta proprio nel coinvolgere in un destino comune tante persone che non si conoscono, ma che diventano attraverso l’artista una sorta di famiglia. Come a dire che la somiglianza discende proprio dalla Timofeeva, dalla sua scelta e dal suo stile: sono (anzi siamo) tutti figli suoi, siamo entrati nel mondo parallelo creato dall’artista. Questo è fantastico, proprio nel senso che invita a fantasticare. Lo spettatore di questa unica galleria è invitato a cercare i diversi gradi di consanguineità tra gli “invitati” alla mostra (oltre che e a mostrarsi) , così come si può andare alla ricerca dei rapporti (non solo somatici) tra i sembianti della persone rappresentate e gli oggetti o gli ambienti che la Timofeeva ha dipinto per accoglierli.
Allora si comprende come la partecipazione a questa mostra diventa per il pubblico il logico completamento dell’intera operazione. Non un semplice momento di presentazione dei quadri, ma la chiusura del cerchio. Questi ritratti nascono non solo dalle occasioni della vita dell’artista, ma nascono per diventare un discorso intelligente sulle possibilità che ha la pittura ancora di stupire. Un ritorno alle origini, in un certo senso. E il tono semiserio accentua questo progetto, lo fa diventare un linguaggio contemporaneo con il giusto senso di distacco nei confronti dell’onnipresente storia dell’arte. Questa è costantemente richiamata in tutta l’opera della Timofeeva. E’ lo sfondo naturale del suo lavoro, che è sempre colto e mai casuale. Fra le varie declinazioni della figurazione contemporanea, anche questo esercizio di post figurazione vuole essere un modo diverso per proporre la pittura, ma senza negare il valore di quest’ultima a rappresentare il mondo. Il ritratto diventa il terreno per una sperimentazione di forme e colori riunite sotto I’ egida del volto umano, di quell’enigma che è alla base dello specchiarsi nell’arte, cercando di riconoscersi.