PALAGIO DI PARTE GUELFA, FIRENZE
E’ difficile mantenere oggi all’interno della nostra cultura la nozione di esotismo. In un quadro così composito e fortunoso come è il nostro presente intellettuale tutto può pretendere a quella definizione e tutto egualmente rifiutarla. Eppure la inaspettata proposizione di se che fece Lolita Timofeeva nel mio orizzonte circa due anni or sono ebbe l’effetto di richiamare quel vocabolo e di rinnovare quel concetto.
Nulla certo del mondo oggettivo e del suo riflesso formale lo avrebbe giustificato, ma c’era qualcosa di pristino e di fermo nel segno di lei che si presentò primamente come autrice di ritratti dotati ambiguamente di precisione e di improbabilità, perfino di ironia… Con sorpresa mi resi conto che proveniva da un paese fisico e mentale incorrotto e serio, ma colto e aggiornato e quella miscela dava frutti abbastanza strani e appunto esotici.
Era come se la giovane artista applicasse alle circostanze che il mondo le offriva una certezza stilistica raggiunta in astratto per studio e soggezione ma con la disponibilità, franchezza, libertà e una certa spavalderia inconsapevole. Proprio questo gioco malizioso era innocente e senza sospetto: davvero mi parve arrivare da altrove. La materia delle sue tele aveva, perchè no, conosciuto le avventure e le provocazioni del secolo, ma lo spirito pur avendo assorbito insieme alle offerte anche le riserve sornione dei luoghi della pittura europea restava nella sue vena fresca e adolescenziale a suo modo pioneristico, ispirava simpatia.
La bravura poi del suo disegno quando la lascia agire in piena libertà si accende virtuosamente e crea intorno al suo oggetto un clima mitico talora inquietante e sottilmente inquisitorio.
Mi chiese di avere un mio testo, e mi indicò lei stessa quale, per sviluppare un suo motivo, a quel momento, urgente. Ed ecco quali fantasie e archetipi del senso, che miraggi del desiderio e liberazioni da angustie nel sogno le hanno suggerito il mio “Quaderno Gotico” ed altri versi d’amore.
Firenze, gennaio 2003