Quando si guardano gli svariati ritratti che Lolita Timofeeva ha dipinto è difficile non valutarne le evidenti qualità di ritrattista. Affermare però di conseguenza che Lolita è un’eccellente ritrattista, e fermarsi più o meno lì, non è probabilmente nei suoi confronti un vero e proprio apprezzamento. Vedrò di spiegarmi cercando un qualche appoggio nella mia esperienza e nei miei ricordi.
Ho avuto come padre un valente pittore fiorentino, Ugo Pignotti, che era paesaggista e non si è mai cimentato col ritratto, ma che fra gli Anni Trenta e gli Anni Cinquanta ha avuto come amici diversi artisti – pittori, scultori, disegnatori – particolarmente dediti al genere ritratto.
Uno dei più noti di questi, Pietro Annigoni, frequentava in età giovanile casa nostra, dove ha anche realizzato più di un ritratto di mio padre e di mio nonno. Pur essendo piccolo avvertivo allora il travaglio di quel lavoro anche attraverso i discorsi che si andavano facendo tra artisti: la verosimiglianza, il rapporto con la fotografia, il riscatto pittorico nei confronti di un mezzo ritenuto (a torto, a parer mio) analogico. Si sa bene dove può condurre questa via: nel vicolo cieco del virtuosismo accademico, nelle tante piazze dove il turista si può far ritrarre a buon mercato …
Si può evitare ciò solo a costo di pagare un pedaggio particolare per il trasferimento da un piano a un altro. Per certi versi è ciò che si verifica in una traduzione poetica da una lingua a un’altra (ne abbiamo discusso con Lolita): il traduttore non deve essere né troppo fedele per non scadere nella registrazione da atto notarile, né troppo trasgressivo per non incorrere nell’accusa di tradimento.
Anche il pittore che ritrae un personaggio (o se stesso) può essere tentato di attenersi a una scrupolosa fedeltà, oppure di lasciarsi andare a una troppo spigliata interpretazione, ma farà sempre bene a tenersi alla larga da questi due margini.
Sono margini che Lolita conosce bene ed evita. Per questo ho subito detto che lei non è soltanto un’eccellente ritrattista.
Conosco molti dei soggetti che la Timofeeva ha dipinto: sì, sono estremamente somiglianti, ma non è questo il punto. Il punto è che questi quadri, questi ritratti, intendono rappresentare, e rappresentano con efficacia, delle immagini atte a suggerire una storia, una storia a un tempo reale e surreale, privata e pubblica, referenziale ed emblematica.
Tutto ciò rientra in una storia dell’arte assai articolata e piuttosto messa in sordina – una storia che anche per questo mi avvince, mi intriga, mi interessa – che attraversa l’irrequieta tipologia di artisti che in ogni tempo hanno cercato di essere quello che erano, ma che avrebbero voluto essere anche qualcun altro. Alludo a certi scrittori che, senza rinnegarsi, avrebbero voluto essere anche pittori: si pensi per esempio all’Alfieri o al Foscolo che si fanno l’autoritratto con un sonetto. Simmetricamente quanti pittori mostrano la loro inclinazione letteraria in certi quadri che narrano vicende pubbliche o personali ora allegoriche, ora reali?
È l’inclinazione a narrare, a evocare un qualche tratto di vita del personaggio effigiato che fa della pittrice lettone (in proposito non è superfluo affacciare qui come semplice richiamo una tradizione e un contesto particolare) una ritrattista sui generis.
Ho avuto modo di accorgermi di come Lolita, attraverso l’angolazione e l’inquadratura di foto scattate di persona e l’elaborazione di disegni preparatori, fa crescere per gradi i suoi dipinti: la procedura tende ad assomigliare non proprio stranamente a quella che caratterizza la successione del montaggio e del collage, ed è la procedura che nella fase iniziale prevede ogni poesia visiva, genere che deliberatamente si accolla il compito di far vedere le parole e di far narrare le immagini.
Oh dio: metto le mani avanti! Lolita Timofeeva non ha niente a che vedere con la poesia visiva, per sua fortuna… Eventualmente, come mi è accaduto di dire per altri artisti, potrei parlare di una particolare forma simmetrica di pittura verbale.
E qui inizio a frenare. Anche perché della galleria di ritratti dedicata sulla scia di Malaparte ai nuovi “Maledetti toscani”, Lolita, per suscitare forse un moto di suspense, non mi ha ancora fatto vedere il mio. Che mi aspetto ovviamente “bellissimo”: dovrei altrimenti rimangiarmi le parole appena scritte? Via dunque al finale scherzoso: ritratto brutto, ritratto tutto.